venerdì 11 marzo 2016

DALL' 11 AL 15 MARZO 2016 - VENEZIA GRATIS - VENICE FOR FREE

11 MARZO 2016



I Modi di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza
dall' 11/03/2016 al 15/05/2016
A cura di Francesco Dal Co
Il rapporto del corpo con l’architettura e il complesso fenomeno della corporeità hanno sempre occupato una posizione privilegiata nella storia della cultura europea. Il rimando immediato è alla tradizione classica e a Vitruvio, architetto di Roma antica, inventore dell’accostamento che incontra larga fortuna nella Storia dell’Arte. Nel De Architectura egli paragona il corpo umano a una costruzione e trae da questa analogia una serie di affermazioni che nel tempo hanno facilitato la comprensione di termini come proporzione, simmetria e armonia. All’interno del pensiero vitruviano molti grandi architetti, soprattutto quelli maggiormente dotati nell’arte del disegno, hanno sperimentato il momento in cui il piacere di rappresentare l’anatomia umana assume una valenza erotica. Il disegno, il primo manifestarsi del processo che attribuisce una forma alla materia, può implicare l’instaurarsi di un rapporto sensuale tra la mano dell’architetto, il supporto grafico e gli strumenti impiegati. La mostra, mira ad indagare questo aspetto della pratica dell’architettura, il legame tra rappresentazione del corpo ed erotismo. Tale analisi è condotta a partire dall’esposizione di una vasta serie di disegni mai usciti dai quaderni di appunti privati e dagli studi di due dei massimi architetti del Novecento, Carlo Scarpa (1906-1978) e Álvaro Siza (n. 1933). I disegni inediti di questi due maestri dell’architettura contemporanea esposti in mostra saranno circa 100. A dimostrazione che quanto si deduce dai disegni e schizzi di Scarpa e Siza non è il frutto di una pratica o di atteggiamenti contingenti in mostra trovano posto le riproduzioni de “I Modi” di Giulio Romano (1499-1546). Giulio Romano fu il principale collaboratore di Raffaello e l’autore di opere decisive del Rinascimento italiano, tra le quali Palazzo Te a Mantova (1525-1534 ca.), dove realizzò anche uno straordinario ciclo di affreschi (in alcuni casi di soggetto erotico) e decorazioni. Nel 1524 Marcantonio Raimondi (1480 ca.-1534), il più importante incisore italiano del Rinascimento, ricavò da sedici disegni lascivi di Giulio Romano la serie delle incisioni note come I Modi (De omnibus Veneris Schematibus). I Modi, che raffigurano sedici posizioni erotiche, sono stati variamente ripresi (Carracci e Procaccini, tra gli altri) e poi pubblicati come illustrazioni di altrettanti sonetti licenziosi composti da un altro dei massimi esponenti del Rinascimento, Pietro Aretino (1492-1556).
Nella mostra organizzata in Fondazione Querini Stampalia è curioso osservare il volume che riproduce i sonetti dell’Aretino accanto alle incisioni di Raimondi, con sovrapposti i disegni che imitano quelli di Giulio Romano tracciati da Siza. L’equilibrio compatto, impassibile del modulo vitruviano in Siza si fa abbraccio libero nello spazio, movimento liquido, danza sinuosa di passione. In Scarpa le figure, nudi femminili soprattutto, occupano con tutta la loro terragna corporeità le carte dei progetti e dicono la seduzione irresistibile del dettaglio meticoloso e incontentabile, della sua bellezza ostinata. Modi della creatività, come forme dell’Eros: divagazione dell’ingegno, corteggiamento amoroso, atto generativo.
Così Francesco Dal Co: “La nostalgia occupa il centro dell’opera di Carlo Scarpa, la modella. Il suono di fondo che in essa si ripete è quello della tradizione. Nostalgia per un rapporto intimo con il mondo, che egli avverte definitivamente compromesso, invece, è quella che si coglie nelle opere di Álvaro Siza – due ‘modi’, questi, nei disegni quasi inconciliabili, non vi fossero i movimenti delle mani a stabilire la loro costitutiva affinità. Questa affinità è resa evidente dal fine che i disegni dei due architetti condividono: dimostrare e provare che nulla può sostituire l’ampliarsi del potere che il delineare garantisce all’osservare’.”
dettagli
Biglietto: entrata libera
Giorni di chiusura: lunedì
dove
Fondazione Querini Stampalia
Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 - 30122 Venezia
Centro Storico
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36292.htm









Venezia è sempre di moda. Fashion in laguna dal 1920 al 1970
dall' 11/03/2016 al 30/04/2016
                
VENEZIA E' SEMPRE DI MODA Fashion in laguna dal 1920 al 1970 a cura di Elisabetta Da Lio con l'aiuto di Eleonora Ceriani e con i preziosi suggerimenti di Mariateresa Crisigiovanni, Daniela Ferretti e Chiara Squarcina e con il supporto di Tiziano Bolpin, Carlo Montanaro e Vittorio Pavan a Maria Luisa Frisa un particolare ringraziamento
Fondazione Musei Civici di Venezia – Museo Fortuny e Museo di Palazzo Mocenigo - Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume Archivio Carlo Montanaro Archivio Cameraphoto Epoche Venezia In collaborazione con Archivio Storico di Istituto Luce Cinecittà
C'era un tempo in cui Venezia e la moda andavano “a braccetto”. Il Lido di Venezia, a partire dagli anni Venti e in modo più incisivo tra gli anni Trenta e Quaranta, grazie all'azione sinergica di Biennale Arte e C.I.G.A., si afferma come luogo di cultura, mondanità e turismo internazionale, sede di feste esclusive, cene di gala e sfilate di moda. A Venezia, già nel 1909, Mariano Fortuny -ispirato dalla moglie Henriette- crea il Delphos, un abito caratterizzato da una particolare plissettatura artigianale che ispirerà le creazioni d'alta moda tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sempre a Venezia, ispirata dai tessuti Bevilacqua, Roberta di Camerino realizza la borsa “bagonghi” che le farà vincere, nel 1956, il prestigioso Neiman Marcus Fashion Award. Il Centro Italiano della Moda, fondato a Milano nel 1949 da Edoardo Alfieri, con il sostegno di Franco Marinotti -allora Presidente della SNIA Viscosa- eleggerà Venezia luogo ideale per celebrare -con una serie di eventi all'hotel Excelsior e al palazzo del Cinema al Lido- il sodalizio tra industrie tessili e case di alta moda. E ancora a Venezia, più precisamente a Palazzo Grassi, Marinotti fonda nel 1951 il Centro Internazionale delle arti e del Costume. Sotto la direzione di Paolo Marinotti -figlio del fondatore- andranno in scena veri e propri spettacoli nello spettacolo dell'alta moda legando indissolubilmente la moda al mondo dell'arte. La stessa Biennale di Venezia cercherà la collaborazione del Centro all'insegna del binomio moda-cinema. Nel corso di un'intervista del 1962 è lo stesso Marinotti a richiamare l'attenzione sulla necessità di portare i processi industriali ad una dimensione artistica e a considerare le manifestazioni organizzate dal CIAC come veri e propri documentari sull'evoluzione del costume.
A livello nazionale, nel dopoguerra si fa strada una rivoluzione nelle forme di comunicazione della moda che esce dagli atelier di ottocentesca memoria preferendo le passerelle collettive e i servizi fotografici in esterno che i grandi nomi dell'epoca interpreteranno con sguardo neorealista. Con le sue bellezze architettoniche, il glamour della Mostra del Cinema e i riti della nobiltà, Venezia diventa in breve luogo privilegiato della rappresentazione e dell'esibizione della moda conquistandosi uno spazio nell'ambito delle “traiettorie della moda”.
La mostra -che è un po' mostra di moda ma soprattutto mostra fotografica e documentaria- non ha delle presunzioni esaustive, ma si ripropone di richiamare l'attenzione e magari suggerire la ripresa del racconto di una storia dimenticata o forse ignorata da molti, partendo da un percorso articolato tra le fotografie vintage degli eventi organizzati dal CIAC e conservati nell'Archivio Carlo Montanaro, le immagini di Venezia, set dei servizi di moda di importanti stilisti e di eventi mondani, scattate dai fotografi dell'agenzia fotogiornalistica di cui testimonia l'Archivio Cameraphoto Epoche di Venezia, le preziose immagini dei riti mondani sulla spiaggia del Lido dell'Archivio Giacomelli ora conservate nell'Archivio della Comunicazione del Comune di Venezia, gli abiti ed oggetti provenienti da Palazzo Fortuny e dal Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume di Palazzo Mocenigo e una serie di imperdibili filmati dell'Archivio Storico di Istituto Luce Cinecittà. Il progetto, che tiene conto della documentazione prodotta in occasione della recente esposizione Bellissima, L'Italia dell'alta moda 1945/1968 curata da Maria Luisa Frisa, Anna Mattirollo e Stefano Tonchi, sarà anche occasione -nel corso di uno specifico incontro- per approfondire quanto il corso di laurea in Design della moda e arti multimediali dell'Università IUAV di Venezia ha elaborato sul binomio moda-città.
Elisabetta Da Lio
dettagli
Biglietto: ingresso libero
Giorni di chiusura: lunedì, martedì
dove
Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani 7 - Mestre (VE)
Terraferma
approfondimenti
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36337.htm










Entrare nell'opera
DAL 19/02/2016 AL 02/04/2016
 
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis / Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /
A cura di Daniele Capra
La Galleria Massimodeluca presenta la prima mostra del 2016 negli spazi di via Torino: Entrare nell’opera, collettiva con opere di Paola Angelini, Stefano Cozzi, Marie Denis, Dominique Figarella, Graziano Folata e Stefano Moras (dal 19 febbraio al 2 aprile 2016, inaugurazione giovedì 18 febbraio ore 18.30). Il progetto espositivo, a cura di Daniele Capra da un’idea di Marina Bastianello, direttore artistico della Massimodeluca, nasce “dalla volontà di mettere a confronto artisti la cui ricerca punta all’avvicinamento emotivo e concettuale all’osservatore, nella consapevolezza di come la pratica artistica sia una continua e inesausta inquisizione dello sguardo altrui” spiega Capra. La mostra - costituita da una dozzina di opere che spaziano dalla pittura al video, dalla fotografia alla scultura e all’installazione - trae ispirazione dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera, lavoro che indaga con particolare intensità il rapporto visivo con lo spettatore e le dinamiche di coinvolgimento psichico nei confronti dell’opera.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Galleria Massimodeluca
Via Torino 105/q 30170 Venezia Mestre
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36185.htm







DALLA CAMERA OSCURA -Il Ghetto di Vilnius
dal 26/01/2016 al 03/04/2016               

Il Ghetto di Vilnius Quando nel 1941 Vilnius (Lituania) fu conquistata dai tedeschi, nella città vecchia vennero costruiti due ghetti per contenere la numerosa comunità ebraica residente. Gli abitanti del ghetto più piccolo furono uccisi o deportati già nell'inverno del 1941; il secondo ghetto - più grande - sopravvisse fino al 1943. Il primo settembre di quell'anno i residenti cercarono di ribellarsi all'oppressione nazista; il fallimento di questa ribellione portò alla distruzione dello stesso ghetto. La popolazione ebraica lituana prima della seconda guerra mondiale ammontava a circa 220.000 persone. Durante l'invasione tedesca del giugno 1941, 206.800 ebrei furono uccisi dai nazisti e dai loro collaboratori lituani.
Da questa gravità indicibile, ecco il lavoro in bianco e nero di John Batho (pioniere della fotografia a colori) da lui realizzato a Vilnius nel 1998 sul luogo del Ghetto. Le fotografie sono negativi stampati dove il Ghetto è deserto, in stato di reliquia. Si intravede una carrozzina, le cassette della posta, le tracce della vita come era. Il silenzio, la luce, la luce bianca ci fanno sentire il soffio della gente assente e la luce infinita brilla ancora sul luogo. Solo la fotografia, tornando alla matrice del negativo, ha potuto materializzare questa luce che John Batho ha visto nel Ghetto di Vilnius.
Con e nella stessa idea di luce, John Batho fotografa in PRÉSENTS & ABSENTS (1998) il passaggio delle persone di fronte ad una cabina della camera oscura. (Le persone sono posizionate di fronte ad una cabina della camera oscura, attrezzata di un vetro grande, coperto dal vapore. I modelli sono passanti, anonimi visitatori del Centro d’Arte Contemporanea della città. Questo dispositivo produce una silhouette, una sagoma, una forma fugace come appena abbozzata. […]La precisione della presa di vista, rende tangibile la presenza e la materia sullo schermo di vetro, e tutti i dettagli del velo di vapore.) Come dice John Batho stesso: dietro un vetro annebbiato, le persone posano su un fondo bianco. Le loro sagome si sospendono nel passaggio fra opaco e trasparente. Loro compaiono come convocate dopo un tempo lontano. Le silhouettes, per la loro presenza tenuta, a meta cancellata, incarnano una identità alle volte individuale e universale.
Con questo lavoro magistrale John Batho evoca dall’assenza, la presenza di un segno sempre indelebile nonostante i passaggi della vita.
Nel Campo del Ghetto Nuovo è presente dal 25 aprile 1980 “Il Monumento dell’Olocausto”, opera dell’artista lituano Arbit Blatas. Sempre dello stesso artista - nel Ghetto veneziano - è presente dal 19 settembre 1993 l’opera “L’ultimo treno”. a cura di Živa Kraus
John Batho è nato in Normandia nel 1939. Dal 1961 si è dedicato alla fotografia ed ha esposto le sue opere in alcuni dei più importanti musei e gallerie del mondo. Ikona Photo Gallery ha presentato John Batho con una prima mostra a Venezia nel 1983 (“La couleur et son lieu: Deauville, Venise, Burano”) e con una mostra antologica (“John Batho. Il colore e il suo luogo”) nel 1987 al Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari a Firenze. Presso i Magazzini del Sale, nel 1997, è stata proposta una personale intitolata “Venezia Vedute” e, nel 2006, la mostra: “Plages de couleurs”. Ikona Venezia nel 2007 ha presentato nuovamente “Venezia Vedute” nella sua sede in Campo del Ghetto Nuovo, e ancora ha dedicato spazio a quest’opera di Batho nell’ultima mostra 'Venezia Immagine - fotografie di John Batho e Franco Fontana.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Ikona Gallery
Campo di Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909 - Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-35979.htm












12 MARZO 2016


mostre
La vita è nelle mie mani
dal 12/03/2016 al 26/03/2016

Un percorso di conoscenza reciproca di donne italiane e straniere sull’esperienza dell’immigrazione, vista dal doppio punto di vista di chi arriva e di chi accoglie. Sarà inaugurata sabato 12 marzo, alla Torre civica di Mestre, la mostra “La vita è nelle mie mani”, promossa dalla Municipalità di Mestre Carpenedo, nell'ambito delle iniziative di “Marzo Donna”.
L'esposizione propone 63 immagini fotografiche, realizzate dal 2012 al 2014 dalla fotografa Maria Pia Miani dell'associazione “CID-Centro Idea Donna”, per il progetto di ricerca sostenuto dal Centro Donna del Comune di Venezia, in collaborazione con Marie Louise Niwemukobwa dell’associazione Donne immigrate“Solidaire”.
Le protagoniste delle immagini fotografiche sono sette donne straniere, di diversa provenienza geografica e culturale, immigrate a Venezia negli ultimi anni, dal Messico, Moldavia, Brasile, Polonia, Palestina e Ruanda. I soggetti privilegiati delle fotografie sono le azioni quotidiane delle protagoniste; sono sintesi visive di gesti, atteggiamenti ed espressioni, di oggetti quotidiani e simbolici, di produzioni manuali ed intellettuali.
La mostra – si legge in una nota degli organizzatori - suggerisce una riflessione sulla conoscenza reciproca e l’interazione tra diverse culture, per valorizzarne la ricchezza di contenuti e di proposte, potenziando le identità e l’apertura al mondo. Si rivolge alla cittadinanza ed alle istituzioni, come contributo per sollecitare conoscenze sulle migliori modalità di convivenza, su atteggiamenti e scelte adeguate per una serena e integrazione e valorizzazione.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Torre di Mestre
Pizza Erminio Ferretto - 30174 Mestre (VE)
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36379.htm








L'astronauta caduto
dal 10/03/2016 al 10/05/2016
'L'astronauta caduto' è il titolo della mostra curata da Valentina Lacinio che inaugura il 10 marzo 2016 presso gli spazi della Galleria A Plus A. In mostra opere di Aldo Aliprandi, Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Thomas Braida, Stephen Kaltenbach, Rä di Martino, Antonio Fiorentino, Margherita Raso, Fabio Roncato, Alice Ronchi.
Il problema della conservazione della memoria e del sapere è un'ossessione millenaria che si protrae nei secoli e di cui l'arte e i suoi rappresentanti non sono immuni. Per la sua unicità e nella peculiare volontà per cui è stato creato L'astronauta caduto rappresenta il primo effettivo monumento 'eretto' sul suolo lunare, nonché la prima forma scultorea di comunicazione e dichiarazione di esistenza della nostra civiltà in ambito extraterrestre. La sua accezione di “caduto” viene qui riletta come emblema di ciò che cadendo si riscopre tale, come se la forma perfetta per poter essere “astronauti” sia appunto “cadere”, poiché è proprio da questa posizione che si possono contemplare le stelle. Da qui il motivo del 'fallen astronaut', una piccola scultura alta 8,5 centimetri che rappresenta la figura stilizzata di un astronauta in tuta spaziale. Un piccolo intervento che si perde nell’immenso deserto lunare. Questa miniatura fu realizzata dal belga Paul Van Hoeydonck su commissione dell'astronauta David Scott per commemorare coloro che erano deceduti negli anni in nome del progresso dell'esplorazione spaziale. Per plasmarla fu scelto l'alluminio, come materiale leggero, robusto, e soprattutto resistente alle forti escursioni termiche lunari che avrebbero rischiato di deformarla. La piccola scultura salì in orbita nel 1971 nella missione dell'Apollo 15 e depositata sul suolo lunare il 2 agosto dell'anno medesimo. Ad oggi è l'unico manufatto di tipo artistico mai lasciato dall'uomo sul satellite naturale. Due anni prima della missione spaziale l'artista Stephen Kaltenbach nell'anno di When Attitude Becomes Form (1969) scrive al NASA Headquarter di Washington D.C. due lettere, la prima il 2 aprile 1969 in cui annuncia la volontà di realizzare “un calco dello stivale sinistro di Neil Armstrong”, la seconda ad ottobre dello stesso anno in cui suggerisce l'utilizzo dei veicoli spaziali in orbita come mezzo di archiviazione di informazioni oltre il tempo e lo spazio terrestri. Le lettere rimarranno senza risposta e l'opera dedicata ad Amstrong incompiuta. Le intuizioni di Kaltenbach relative alla conservazione del sapere umano si allineano con una serie di tentativi pregressi. Primo tra tutti La Cripta della Civiltà ad Atlanta (1936), Georgia, considerata e registrata ufficialmente dal Guinness dei Primati come la prima “capsula del tempo” mai realizzata e destinata ad essere aperta in una data precisa nel futuro: 28 maggio 8113. Essa rappresenta un vero e proprio monumento per le sue dimensioni e per la portata: la camera sigillata da una porta in acciaio inossidabile è chiusa ermeticamente e contiene 800 libri significativi su ogni argomento fondamentale per il genere umano e 200 romanzi. Il concetto di monumento pur mantenendosi adesso alla sua prima accezione etimologica ricopre ad oggi un panorama di declinazioni in molteplici ambiti; dal latino “monere”, ricordare, dunque potenzialmente trattenere nel tempo qualsiasi cosa. Forte dunque della carica e della densità di senso che accompagna i concetti di “monumento” e di “conservazione della memoria”, la mostra L'astronauta caduto si propone di dare una configurazione tridimensionale alla sfida de la cristallizzazione del sapere nel tempo, alla corsa affannata all'immortalità. Il percorso della mostra, a partire dalla rievocazione di un evento storico epocale, si articola attraverso i progetti visionari di Stephen Kaltenbach per poi addentrarsi nella contemporaneità degli artisti selezionati. Accomunate dal medesimo anelito, tramite riferimenti sia concettuali che alchemici, le opere si fanno portavoce dei tremori del proprio tempo, caricandosi di uno slancio tutto umano di proiezione immaginifica verso il futuro più remoto che culminerà con la sepoltura di una particolare capsula dedicata a questa stessa riflessione.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Galleria A+A - Centro Espositivo Pubblico Sloveno
San Marco 3073 - 30124 Venezia
Centro Storico
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36253.htm








I Modi di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza
dall' 11/03/2016 al 15/05/2016
A cura di Francesco Dal Co
Il rapporto del corpo con l’architettura e il complesso fenomeno della corporeità hanno sempre occupato una posizione privilegiata nella storia della cultura europea. Il rimando immediato è alla tradizione classica e a Vitruvio, architetto di Roma antica, inventore dell’accostamento che incontra larga fortuna nella Storia dell’Arte. Nel De Architectura egli paragona il corpo umano a una costruzione e trae da questa analogia una serie di affermazioni che nel tempo hanno facilitato la comprensione di termini come proporzione, simmetria e armonia. All’interno del pensiero vitruviano molti grandi architetti, soprattutto quelli maggiormente dotati nell’arte del disegno, hanno sperimentato il momento in cui il piacere di rappresentare l’anatomia umana assume una valenza erotica. Il disegno, il primo manifestarsi del processo che attribuisce una forma alla materia, può implicare l’instaurarsi di un rapporto sensuale tra la mano dell’architetto, il supporto grafico e gli strumenti impiegati. La mostra, mira ad indagare questo aspetto della pratica dell’architettura, il legame tra rappresentazione del corpo ed erotismo. Tale analisi è condotta a partire dall’esposizione di una vasta serie di disegni mai usciti dai quaderni di appunti privati e dagli studi di due dei massimi architetti del Novecento, Carlo Scarpa (1906-1978) e Álvaro Siza (n. 1933). I disegni inediti di questi due maestri dell’architettura contemporanea esposti in mostra saranno circa 100. A dimostrazione che quanto si deduce dai disegni e schizzi di Scarpa e Siza non è il frutto di una pratica o di atteggiamenti contingenti in mostra trovano posto le riproduzioni de “I Modi” di Giulio Romano (1499-1546). Giulio Romano fu il principale collaboratore di Raffaello e l’autore di opere decisive del Rinascimento italiano, tra le quali Palazzo Te a Mantova (1525-1534 ca.), dove realizzò anche uno straordinario ciclo di affreschi (in alcuni casi di soggetto erotico) e decorazioni. Nel 1524 Marcantonio Raimondi (1480 ca.-1534), il più importante incisore italiano del Rinascimento, ricavò da sedici disegni lascivi di Giulio Romano la serie delle incisioni note come I Modi (De omnibus Veneris Schematibus). I Modi, che raffigurano sedici posizioni erotiche, sono stati variamente ripresi (Carracci e Procaccini, tra gli altri) e poi pubblicati come illustrazioni di altrettanti sonetti licenziosi composti da un altro dei massimi esponenti del Rinascimento, Pietro Aretino (1492-1556).
Nella mostra organizzata in Fondazione Querini Stampalia è curioso osservare il volume che riproduce i sonetti dell’Aretino accanto alle incisioni di Raimondi, con sovrapposti i disegni che imitano quelli di Giulio Romano tracciati da Siza. L’equilibrio compatto, impassibile del modulo vitruviano in Siza si fa abbraccio libero nello spazio, movimento liquido, danza sinuosa di passione. In Scarpa le figure, nudi femminili soprattutto, occupano con tutta la loro terragna corporeità le carte dei progetti e dicono la seduzione irresistibile del dettaglio meticoloso e incontentabile, della sua bellezza ostinata. Modi della creatività, come forme dell’Eros: divagazione dell’ingegno, corteggiamento amoroso, atto generativo.
Così Francesco Dal Co: “La nostalgia occupa il centro dell’opera di Carlo Scarpa, la modella. Il suono di fondo che in essa si ripete è quello della tradizione. Nostalgia per un rapporto intimo con il mondo, che egli avverte definitivamente compromesso, invece, è quella che si coglie nelle opere di Álvaro Siza – due ‘modi’, questi, nei disegni quasi inconciliabili, non vi fossero i movimenti delle mani a stabilire la loro costitutiva affinità. Questa affinità è resa evidente dal fine che i disegni dei due architetti condividono: dimostrare e provare che nulla può sostituire l’ampliarsi del potere che il delineare garantisce all’osservare’.”
dettagli
Biglietto: entrata libera
Giorni di chiusura: lunedì
dove
Fondazione Querini Stampalia
Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 - 30122 Venezia
Centro Storico
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36292.htm









Venezia è sempre di moda. Fashion in laguna dal 1920 al 1970
dall' 11/03/2016 al 30/04/2016
                
VENEZIA E' SEMPRE DI MODA Fashion in laguna dal 1920 al 1970 a cura di Elisabetta Da Lio con l'aiuto di Eleonora Ceriani e con i preziosi suggerimenti di Mariateresa Crisigiovanni, Daniela Ferretti e Chiara Squarcina e con il supporto di Tiziano Bolpin, Carlo Montanaro e Vittorio Pavan a Maria Luisa Frisa un particolare ringraziamento
Fondazione Musei Civici di Venezia – Museo Fortuny e Museo di Palazzo Mocenigo - Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume Archivio Carlo Montanaro Archivio Cameraphoto Epoche Venezia In collaborazione con Archivio Storico di Istituto Luce Cinecittà
C'era un tempo in cui Venezia e la moda andavano “a braccetto”. Il Lido di Venezia, a partire dagli anni Venti e in modo più incisivo tra gli anni Trenta e Quaranta, grazie all'azione sinergica di Biennale Arte e C.I.G.A., si afferma come luogo di cultura, mondanità e turismo internazionale, sede di feste esclusive, cene di gala e sfilate di moda. A Venezia, già nel 1909, Mariano Fortuny -ispirato dalla moglie Henriette- crea il Delphos, un abito caratterizzato da una particolare plissettatura artigianale che ispirerà le creazioni d'alta moda tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sempre a Venezia, ispirata dai tessuti Bevilacqua, Roberta di Camerino realizza la borsa “bagonghi” che le farà vincere, nel 1956, il prestigioso Neiman Marcus Fashion Award. Il Centro Italiano della Moda, fondato a Milano nel 1949 da Edoardo Alfieri, con il sostegno di Franco Marinotti -allora Presidente della SNIA Viscosa- eleggerà Venezia luogo ideale per celebrare -con una serie di eventi all'hotel Excelsior e al palazzo del Cinema al Lido- il sodalizio tra industrie tessili e case di alta moda. E ancora a Venezia, più precisamente a Palazzo Grassi, Marinotti fonda nel 1951 il Centro Internazionale delle arti e del Costume. Sotto la direzione di Paolo Marinotti -figlio del fondatore- andranno in scena veri e propri spettacoli nello spettacolo dell'alta moda legando indissolubilmente la moda al mondo dell'arte. La stessa Biennale di Venezia cercherà la collaborazione del Centro all'insegna del binomio moda-cinema. Nel corso di un'intervista del 1962 è lo stesso Marinotti a richiamare l'attenzione sulla necessità di portare i processi industriali ad una dimensione artistica e a considerare le manifestazioni organizzate dal CIAC come veri e propri documentari sull'evoluzione del costume.
A livello nazionale, nel dopoguerra si fa strada una rivoluzione nelle forme di comunicazione della moda che esce dagli atelier di ottocentesca memoria preferendo le passerelle collettive e i servizi fotografici in esterno che i grandi nomi dell'epoca interpreteranno con sguardo neorealista. Con le sue bellezze architettoniche, il glamour della Mostra del Cinema e i riti della nobiltà, Venezia diventa in breve luogo privilegiato della rappresentazione e dell'esibizione della moda conquistandosi uno spazio nell'ambito delle “traiettorie della moda”.
La mostra -che è un po' mostra di moda ma soprattutto mostra fotografica e documentaria- non ha delle presunzioni esaustive, ma si ripropone di richiamare l'attenzione e magari suggerire la ripresa del racconto di una storia dimenticata o forse ignorata da molti, partendo da un percorso articolato tra le fotografie vintage degli eventi organizzati dal CIAC e conservati nell'Archivio Carlo Montanaro, le immagini di Venezia, set dei servizi di moda di importanti stilisti e di eventi mondani, scattate dai fotografi dell'agenzia fotogiornalistica di cui testimonia l'Archivio Cameraphoto Epoche di Venezia, le preziose immagini dei riti mondani sulla spiaggia del Lido dell'Archivio Giacomelli ora conservate nell'Archivio della Comunicazione del Comune di Venezia, gli abiti ed oggetti provenienti da Palazzo Fortuny e dal Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume di Palazzo Mocenigo e una serie di imperdibili filmati dell'Archivio Storico di Istituto Luce Cinecittà. Il progetto, che tiene conto della documentazione prodotta in occasione della recente esposizione Bellissima, L'Italia dell'alta moda 1945/1968 curata da Maria Luisa Frisa, Anna Mattirollo e Stefano Tonchi, sarà anche occasione -nel corso di uno specifico incontro- per approfondire quanto il corso di laurea in Design della moda e arti multimediali dell'Università IUAV di Venezia ha elaborato sul binomio moda-città.
Elisabetta Da Lio
dettagli
Biglietto: ingresso libero
Giorni di chiusura: lunedì, martedì
dove
Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani 7 - Mestre (VE)
Terraferma
approfondimenti
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36337.htm










Entrare nell'opera
DAL 19/02/2016 AL 02/04/2016
 
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis / Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /
A cura di Daniele Capra
La Galleria Massimodeluca presenta la prima mostra del 2016 negli spazi di via Torino: Entrare nell’opera, collettiva con opere di Paola Angelini, Stefano Cozzi, Marie Denis, Dominique Figarella, Graziano Folata e Stefano Moras (dal 19 febbraio al 2 aprile 2016, inaugurazione giovedì 18 febbraio ore 18.30). Il progetto espositivo, a cura di Daniele Capra da un’idea di Marina Bastianello, direttore artistico della Massimodeluca, nasce “dalla volontà di mettere a confronto artisti la cui ricerca punta all’avvicinamento emotivo e concettuale all’osservatore, nella consapevolezza di come la pratica artistica sia una continua e inesausta inquisizione dello sguardo altrui” spiega Capra. La mostra - costituita da una dozzina di opere che spaziano dalla pittura al video, dalla fotografia alla scultura e all’installazione - trae ispirazione dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera, lavoro che indaga con particolare intensità il rapporto visivo con lo spettatore e le dinamiche di coinvolgimento psichico nei confronti dell’opera.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Galleria Massimodeluca
Via Torino 105/q 30170 Venezia Mestre
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36185.htm







DALLA CAMERA OSCURA -Il Ghetto di Vilnius
dal 26/01/2016 al 03/04/2016               

Il Ghetto di Vilnius Quando nel 1941 Vilnius (Lituania) fu conquistata dai tedeschi, nella città vecchia vennero costruiti due ghetti per contenere la numerosa comunità ebraica residente. Gli abitanti del ghetto più piccolo furono uccisi o deportati già nell'inverno del 1941; il secondo ghetto - più grande - sopravvisse fino al 1943. Il primo settembre di quell'anno i residenti cercarono di ribellarsi all'oppressione nazista; il fallimento di questa ribellione portò alla distruzione dello stesso ghetto. La popolazione ebraica lituana prima della seconda guerra mondiale ammontava a circa 220.000 persone. Durante l'invasione tedesca del giugno 1941, 206.800 ebrei furono uccisi dai nazisti e dai loro collaboratori lituani.
Da questa gravità indicibile, ecco il lavoro in bianco e nero di John Batho (pioniere della fotografia a colori) da lui realizzato a Vilnius nel 1998 sul luogo del Ghetto. Le fotografie sono negativi stampati dove il Ghetto è deserto, in stato di reliquia. Si intravede una carrozzina, le cassette della posta, le tracce della vita come era. Il silenzio, la luce, la luce bianca ci fanno sentire il soffio della gente assente e la luce infinita brilla ancora sul luogo. Solo la fotografia, tornando alla matrice del negativo, ha potuto materializzare questa luce che John Batho ha visto nel Ghetto di Vilnius.
Con e nella stessa idea di luce, John Batho fotografa in PRÉSENTS & ABSENTS (1998) il passaggio delle persone di fronte ad una cabina della camera oscura. (Le persone sono posizionate di fronte ad una cabina della camera oscura, attrezzata di un vetro grande, coperto dal vapore. I modelli sono passanti, anonimi visitatori del Centro d’Arte Contemporanea della città. Questo dispositivo produce una silhouette, una sagoma, una forma fugace come appena abbozzata. […]La precisione della presa di vista, rende tangibile la presenza e la materia sullo schermo di vetro, e tutti i dettagli del velo di vapore.) Come dice John Batho stesso: dietro un vetro annebbiato, le persone posano su un fondo bianco. Le loro sagome si sospendono nel passaggio fra opaco e trasparente. Loro compaiono come convocate dopo un tempo lontano. Le silhouettes, per la loro presenza tenuta, a meta cancellata, incarnano una identità alle volte individuale e universale.
Con questo lavoro magistrale John Batho evoca dall’assenza, la presenza di un segno sempre indelebile nonostante i passaggi della vita.
Nel Campo del Ghetto Nuovo è presente dal 25 aprile 1980 “Il Monumento dell’Olocausto”, opera dell’artista lituano Arbit Blatas. Sempre dello stesso artista - nel Ghetto veneziano - è presente dal 19 settembre 1993 l’opera “L’ultimo treno”. a cura di Živa Kraus
John Batho è nato in Normandia nel 1939. Dal 1961 si è dedicato alla fotografia ed ha esposto le sue opere in alcuni dei più importanti musei e gallerie del mondo. Ikona Photo Gallery ha presentato John Batho con una prima mostra a Venezia nel 1983 (“La couleur et son lieu: Deauville, Venise, Burano”) e con una mostra antologica (“John Batho. Il colore e il suo luogo”) nel 1987 al Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari a Firenze. Presso i Magazzini del Sale, nel 1997, è stata proposta una personale intitolata “Venezia Vedute” e, nel 2006, la mostra: “Plages de couleurs”. Ikona Venezia nel 2007 ha presentato nuovamente “Venezia Vedute” nella sua sede in Campo del Ghetto Nuovo, e ancora ha dedicato spazio a quest’opera di Batho nell’ultima mostra 'Venezia Immagine - fotografie di John Batho e Franco Fontana.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Ikona Gallery
Campo di Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909 - Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-35979.htm











13 MARZO 2016



mostre
MERAVIGLIE DELLO STATO DI CHU
dal 13/03/2016 al 25/09/2016
Per la prima volta in Europa le testimonianze e la storia dell’antica civiltà dello Stato di Chu.
Due storie parallele nel tempo ma che si avverano a più di 8 mila chilometri di distanza: nelle antiche terre dei Veneti, tra Po e Adige, e lungo le sponde del Fiume Azzurro, in quella che poi sarà la Cina.
In questi fertili territori, nel millennio che precede l’era cristiana, si affacciano alla storia due grandi civiltà, capaci di proporre manufatti di straordinaria raffinatezza e di accogliere il meglio della cultura locale e dei popoli contemporanei. Civiltà che diventeranno parte integrante e costituente di realtà molto più potenti: l’Impero Romano nel caso dei Veneti, il regno di Qin per il futuro Celeste Impero.
Un accordo tra Italia e Cina, e più precisamente tra Veneto e la Provincia cinese del Hubei, consente per la prima volta in Europa di scoprire le testimonianze, davvero magnifiche, della civiltà dell’antico Regno. Come, successivamente, una Mostra allestita al Museo Provinciale del Hubei, consentirà ai cinesi di avvicinarsi alla grande storia che precedette di secoli la nascita di Venezia.
A rendere del tutto eccezionale questo progetto (promosso, per parte italiana, dai Comuni di Este e di Adria, dalla Soprintendenza Archeologia del Veneto, dal Polo Museale del Veneto, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dalla Regione del Veneto) è l’esposizione dei “reperti ospiti” dal Museo Provinciale del Hubei accanto alle coeve testimonianze territoriali esposte nei Musei Nazionali Archeologici di Este e di Adria, sedi delle mostre.
Nato come piccolo regno militare, Chu si espanse al punto da diventare, sul finire del Periodo delle Primavere e degli Autunni (770 - 454 a.C.), una vera e propria potenza e visse il suo momento di massimo splendore nel successivo Periodo degli Stati Combattenti (453 - 221 a.C.).
L'impressionante qualità e stato di conservazione di reperti archeologici rinvenuti nella provincia di Hubei, cuore dello stato di Chu, in uno straordinario contesto archeologico di recente scoperta, testimonia come la supremazia del regno fosse culturale, prima ancora che militare. Armi e giade che rappresentano i due punti estremi dello Stato di Chu: la supremazia terrena attraverso la guerra e il consenso celeste attraverso l'offerta del bene più prezioso. Bronzi rituali ding e dui, indicatori della ricchezza e del prestigio della classe nobile. La loro forma, le fantasiose cesellature e le iscrizioni votive sottolineano la grande abilità degli artigiani di Chu, in continuità con la gloriosa tradizione dei bronzi Cinesi fin dalla più profonda antichità. Lacche straordinarie sono tra gli oggetti più sorprendenti, solo se si pensa che esse sono di legno e che grazie alla laccatura ci sono giunte pressoché intatte dopo oltre due millenni e mezzo. Persino strumenti musicali, parte di vere e proprie orchestre, sono segno di una padronanza dell’arte musicale senza eguali al mondo nel V secolo a.C. Le campane di bronzo niuzhong e yongzhong costituiscono senza dubbio i reperti più identificati con la cultura dell'epoca. La loro forma del tutto originale e la speciale lavorazione oltre a farne oggetti d'arte in sé sono espressione di eccezionali sperimentate conoscenze nel campo della musica.
Dai corredi funerari di alcune tombe nobiliari, la direzione del Museo provinciale del Hubei nella città di Wuhan, ha scelto reperti di particolare interesse e bellezza che vanno a formare il 'corpo' di questa Mostra, suddivisa in due sedi, ma di concezione unica. Con l’organizzazione di Cultour Active, per la prima volta una Mostra di tesori archeologici sarà completamente rivisitata integrando l’allestimento espositivo in modo dinamico, multimediale e coinvolgendo il pubblico in un’esperienza multisensoriale.
Ideazione e organizzazione: Cultour Active Coordinamento: Vincenzo Tinè, Daniele Ferrara, Simonetta Bonomi (MiBACT) Curatori: Adriano Madaro e Wang Jichao Finanziatori del progetto: Fondazione Ca.Ri.Pa.Ro e Regione del Veneto
dettagli
Biglietto: consulta il sito del Museo Orientale di Venezia
dove
Museo d'Arte Orientale
Ca' Pesaro, Santa Croce 2077 - 30135 Venezia
Centro Storico
Prenotazione: consigliata
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36363.htm







mostre
La vita è nelle mie mani
dal 12/03/2016 al 26/03/2016

Un percorso di conoscenza reciproca di donne italiane e straniere sull’esperienza dell’immigrazione, vista dal doppio punto di vista di chi arriva e di chi accoglie. Sarà inaugurata sabato 12 marzo, alla Torre civica di Mestre, la mostra “La vita è nelle mie mani”, promossa dalla Municipalità di Mestre Carpenedo, nell'ambito delle iniziative di “Marzo Donna”.
L'esposizione propone 63 immagini fotografiche, realizzate dal 2012 al 2014 dalla fotografa Maria Pia Miani dell'associazione “CID-Centro Idea Donna”, per il progetto di ricerca sostenuto dal Centro Donna del Comune di Venezia, in collaborazione con Marie Louise Niwemukobwa dell’associazione Donne immigrate“Solidaire”.
Le protagoniste delle immagini fotografiche sono sette donne straniere, di diversa provenienza geografica e culturale, immigrate a Venezia negli ultimi anni, dal Messico, Moldavia, Brasile, Polonia, Palestina e Ruanda. I soggetti privilegiati delle fotografie sono le azioni quotidiane delle protagoniste; sono sintesi visive di gesti, atteggiamenti ed espressioni, di oggetti quotidiani e simbolici, di produzioni manuali ed intellettuali.
La mostra – si legge in una nota degli organizzatori - suggerisce una riflessione sulla conoscenza reciproca e l’interazione tra diverse culture, per valorizzarne la ricchezza di contenuti e di proposte, potenziando le identità e l’apertura al mondo. Si rivolge alla cittadinanza ed alle istituzioni, come contributo per sollecitare conoscenze sulle migliori modalità di convivenza, su atteggiamenti e scelte adeguate per una serena e integrazione e valorizzazione.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Torre di Mestre
Pizza Erminio Ferretto - 30174 Mestre (VE)
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36379.htm








I Modi di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza
dall' 11/03/2016 al 15/05/2016
A cura di Francesco Dal Co
Il rapporto del corpo con l’architettura e il complesso fenomeno della corporeità hanno sempre occupato una posizione privilegiata nella storia della cultura europea. Il rimando immediato è alla tradizione classica e a Vitruvio, architetto di Roma antica, inventore dell’accostamento che incontra larga fortuna nella Storia dell’Arte. Nel De Architectura egli paragona il corpo umano a una costruzione e trae da questa analogia una serie di affermazioni che nel tempo hanno facilitato la comprensione di termini come proporzione, simmetria e armonia. All’interno del pensiero vitruviano molti grandi architetti, soprattutto quelli maggiormente dotati nell’arte del disegno, hanno sperimentato il momento in cui il piacere di rappresentare l’anatomia umana assume una valenza erotica. Il disegno, il primo manifestarsi del processo che attribuisce una forma alla materia, può implicare l’instaurarsi di un rapporto sensuale tra la mano dell’architetto, il supporto grafico e gli strumenti impiegati. La mostra, mira ad indagare questo aspetto della pratica dell’architettura, il legame tra rappresentazione del corpo ed erotismo. Tale analisi è condotta a partire dall’esposizione di una vasta serie di disegni mai usciti dai quaderni di appunti privati e dagli studi di due dei massimi architetti del Novecento, Carlo Scarpa (1906-1978) e Álvaro Siza (n. 1933). I disegni inediti di questi due maestri dell’architettura contemporanea esposti in mostra saranno circa 100. A dimostrazione che quanto si deduce dai disegni e schizzi di Scarpa e Siza non è il frutto di una pratica o di atteggiamenti contingenti in mostra trovano posto le riproduzioni de “I Modi” di Giulio Romano (1499-1546). Giulio Romano fu il principale collaboratore di Raffaello e l’autore di opere decisive del Rinascimento italiano, tra le quali Palazzo Te a Mantova (1525-1534 ca.), dove realizzò anche uno straordinario ciclo di affreschi (in alcuni casi di soggetto erotico) e decorazioni. Nel 1524 Marcantonio Raimondi (1480 ca.-1534), il più importante incisore italiano del Rinascimento, ricavò da sedici disegni lascivi di Giulio Romano la serie delle incisioni note come I Modi (De omnibus Veneris Schematibus). I Modi, che raffigurano sedici posizioni erotiche, sono stati variamente ripresi (Carracci e Procaccini, tra gli altri) e poi pubblicati come illustrazioni di altrettanti sonetti licenziosi composti da un altro dei massimi esponenti del Rinascimento, Pietro Aretino (1492-1556).
Nella mostra organizzata in Fondazione Querini Stampalia è curioso osservare il volume che riproduce i sonetti dell’Aretino accanto alle incisioni di Raimondi, con sovrapposti i disegni che imitano quelli di Giulio Romano tracciati da Siza. L’equilibrio compatto, impassibile del modulo vitruviano in Siza si fa abbraccio libero nello spazio, movimento liquido, danza sinuosa di passione. In Scarpa le figure, nudi femminili soprattutto, occupano con tutta la loro terragna corporeità le carte dei progetti e dicono la seduzione irresistibile del dettaglio meticoloso e incontentabile, della sua bellezza ostinata. Modi della creatività, come forme dell’Eros: divagazione dell’ingegno, corteggiamento amoroso, atto generativo.
Così Francesco Dal Co: “La nostalgia occupa il centro dell’opera di Carlo Scarpa, la modella. Il suono di fondo che in essa si ripete è quello della tradizione. Nostalgia per un rapporto intimo con il mondo, che egli avverte definitivamente compromesso, invece, è quella che si coglie nelle opere di Álvaro Siza – due ‘modi’, questi, nei disegni quasi inconciliabili, non vi fossero i movimenti delle mani a stabilire la loro costitutiva affinità. Questa affinità è resa evidente dal fine che i disegni dei due architetti condividono: dimostrare e provare che nulla può sostituire l’ampliarsi del potere che il delineare garantisce all’osservare’.”
dettagli
Biglietto: entrata libera
Giorni di chiusura: lunedì
dove
Fondazione Querini Stampalia
Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 - 30122 Venezia
Centro Storico
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36292.htm









Venezia è sempre di moda. Fashion in laguna dal 1920 al 1970
dall' 11/03/2016 al 30/04/2016
                
VENEZIA E' SEMPRE DI MODA Fashion in laguna dal 1920 al 1970 a cura di Elisabetta Da Lio con l'aiuto di Eleonora Ceriani e con i preziosi suggerimenti di Mariateresa Crisigiovanni, Daniela Ferretti e Chiara Squarcina e con il supporto di Tiziano Bolpin, Carlo Montanaro e Vittorio Pavan a Maria Luisa Frisa un particolare ringraziamento
Fondazione Musei Civici di Venezia – Museo Fortuny e Museo di Palazzo Mocenigo - Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume Archivio Carlo Montanaro Archivio Cameraphoto Epoche Venezia In collaborazione con Archivio Storico di Istituto Luce Cinecittà
C'era un tempo in cui Venezia e la moda andavano “a braccetto”. Il Lido di Venezia, a partire dagli anni Venti e in modo più incisivo tra gli anni Trenta e Quaranta, grazie all'azione sinergica di Biennale Arte e C.I.G.A., si afferma come luogo di cultura, mondanità e turismo internazionale, sede di feste esclusive, cene di gala e sfilate di moda. A Venezia, già nel 1909, Mariano Fortuny -ispirato dalla moglie Henriette- crea il Delphos, un abito caratterizzato da una particolare plissettatura artigianale che ispirerà le creazioni d'alta moda tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sempre a Venezia, ispirata dai tessuti Bevilacqua, Roberta di Camerino realizza la borsa “bagonghi” che le farà vincere, nel 1956, il prestigioso Neiman Marcus Fashion Award. Il Centro Italiano della Moda, fondato a Milano nel 1949 da Edoardo Alfieri, con il sostegno di Franco Marinotti -allora Presidente della SNIA Viscosa- eleggerà Venezia luogo ideale per celebrare -con una serie di eventi all'hotel Excelsior e al palazzo del Cinema al Lido- il sodalizio tra industrie tessili e case di alta moda. E ancora a Venezia, più precisamente a Palazzo Grassi, Marinotti fonda nel 1951 il Centro Internazionale delle arti e del Costume. Sotto la direzione di Paolo Marinotti -figlio del fondatore- andranno in scena veri e propri spettacoli nello spettacolo dell'alta moda legando indissolubilmente la moda al mondo dell'arte. La stessa Biennale di Venezia cercherà la collaborazione del Centro all'insegna del binomio moda-cinema. Nel corso di un'intervista del 1962 è lo stesso Marinotti a richiamare l'attenzione sulla necessità di portare i processi industriali ad una dimensione artistica e a considerare le manifestazioni organizzate dal CIAC come veri e propri documentari sull'evoluzione del costume.
A livello nazionale, nel dopoguerra si fa strada una rivoluzione nelle forme di comunicazione della moda che esce dagli atelier di ottocentesca memoria preferendo le passerelle collettive e i servizi fotografici in esterno che i grandi nomi dell'epoca interpreteranno con sguardo neorealista. Con le sue bellezze architettoniche, il glamour della Mostra del Cinema e i riti della nobiltà, Venezia diventa in breve luogo privilegiato della rappresentazione e dell'esibizione della moda conquistandosi uno spazio nell'ambito delle “traiettorie della moda”.
La mostra -che è un po' mostra di moda ma soprattutto mostra fotografica e documentaria- non ha delle presunzioni esaustive, ma si ripropone di richiamare l'attenzione e magari suggerire la ripresa del racconto di una storia dimenticata o forse ignorata da molti, partendo da un percorso articolato tra le fotografie vintage degli eventi organizzati dal CIAC e conservati nell'Archivio Carlo Montanaro, le immagini di Venezia, set dei servizi di moda di importanti stilisti e di eventi mondani, scattate dai fotografi dell'agenzia fotogiornalistica di cui testimonia l'Archivio Cameraphoto Epoche di Venezia, le preziose immagini dei riti mondani sulla spiaggia del Lido dell'Archivio Giacomelli ora conservate nell'Archivio della Comunicazione del Comune di Venezia, gli abiti ed oggetti provenienti da Palazzo Fortuny e dal Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume di Palazzo Mocenigo e una serie di imperdibili filmati dell'Archivio Storico di Istituto Luce Cinecittà. Il progetto, che tiene conto della documentazione prodotta in occasione della recente esposizione Bellissima, L'Italia dell'alta moda 1945/1968 curata da Maria Luisa Frisa, Anna Mattirollo e Stefano Tonchi, sarà anche occasione -nel corso di uno specifico incontro- per approfondire quanto il corso di laurea in Design della moda e arti multimediali dell'Università IUAV di Venezia ha elaborato sul binomio moda-città.
Elisabetta Da Lio
dettagli
Biglietto: ingresso libero
Giorni di chiusura: lunedì, martedì
dove
Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani 7 - Mestre (VE)
Terraferma
approfondimenti
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36337.htm










Entrare nell'opera
DAL 19/02/2016 AL 02/04/2016
 
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis / Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /
A cura di Daniele Capra
La Galleria Massimodeluca presenta la prima mostra del 2016 negli spazi di via Torino: Entrare nell’opera, collettiva con opere di Paola Angelini, Stefano Cozzi, Marie Denis, Dominique Figarella, Graziano Folata e Stefano Moras (dal 19 febbraio al 2 aprile 2016, inaugurazione giovedì 18 febbraio ore 18.30). Il progetto espositivo, a cura di Daniele Capra da un’idea di Marina Bastianello, direttore artistico della Massimodeluca, nasce “dalla volontà di mettere a confronto artisti la cui ricerca punta all’avvicinamento emotivo e concettuale all’osservatore, nella consapevolezza di come la pratica artistica sia una continua e inesausta inquisizione dello sguardo altrui” spiega Capra. La mostra - costituita da una dozzina di opere che spaziano dalla pittura al video, dalla fotografia alla scultura e all’installazione - trae ispirazione dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera, lavoro che indaga con particolare intensità il rapporto visivo con lo spettatore e le dinamiche di coinvolgimento psichico nei confronti dell’opera.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Galleria Massimodeluca
Via Torino 105/q 30170 Venezia Mestre
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36185.htm







DALLA CAMERA OSCURA -Il Ghetto di Vilnius
dal 26/01/2016 al 03/04/2016               

Il Ghetto di Vilnius Quando nel 1941 Vilnius (Lituania) fu conquistata dai tedeschi, nella città vecchia vennero costruiti due ghetti per contenere la numerosa comunità ebraica residente. Gli abitanti del ghetto più piccolo furono uccisi o deportati già nell'inverno del 1941; il secondo ghetto - più grande - sopravvisse fino al 1943. Il primo settembre di quell'anno i residenti cercarono di ribellarsi all'oppressione nazista; il fallimento di questa ribellione portò alla distruzione dello stesso ghetto. La popolazione ebraica lituana prima della seconda guerra mondiale ammontava a circa 220.000 persone. Durante l'invasione tedesca del giugno 1941, 206.800 ebrei furono uccisi dai nazisti e dai loro collaboratori lituani.
Da questa gravità indicibile, ecco il lavoro in bianco e nero di John Batho (pioniere della fotografia a colori) da lui realizzato a Vilnius nel 1998 sul luogo del Ghetto. Le fotografie sono negativi stampati dove il Ghetto è deserto, in stato di reliquia. Si intravede una carrozzina, le cassette della posta, le tracce della vita come era. Il silenzio, la luce, la luce bianca ci fanno sentire il soffio della gente assente e la luce infinita brilla ancora sul luogo. Solo la fotografia, tornando alla matrice del negativo, ha potuto materializzare questa luce che John Batho ha visto nel Ghetto di Vilnius.
Con e nella stessa idea di luce, John Batho fotografa in PRÉSENTS & ABSENTS (1998) il passaggio delle persone di fronte ad una cabina della camera oscura. (Le persone sono posizionate di fronte ad una cabina della camera oscura, attrezzata di un vetro grande, coperto dal vapore. I modelli sono passanti, anonimi visitatori del Centro d’Arte Contemporanea della città. Questo dispositivo produce una silhouette, una sagoma, una forma fugace come appena abbozzata. […]La precisione della presa di vista, rende tangibile la presenza e la materia sullo schermo di vetro, e tutti i dettagli del velo di vapore.) Come dice John Batho stesso: dietro un vetro annebbiato, le persone posano su un fondo bianco. Le loro sagome si sospendono nel passaggio fra opaco e trasparente. Loro compaiono come convocate dopo un tempo lontano. Le silhouettes, per la loro presenza tenuta, a meta cancellata, incarnano una identità alle volte individuale e universale.
Con questo lavoro magistrale John Batho evoca dall’assenza, la presenza di un segno sempre indelebile nonostante i passaggi della vita.
Nel Campo del Ghetto Nuovo è presente dal 25 aprile 1980 “Il Monumento dell’Olocausto”, opera dell’artista lituano Arbit Blatas. Sempre dello stesso artista - nel Ghetto veneziano - è presente dal 19 settembre 1993 l’opera “L’ultimo treno”. a cura di Živa Kraus
John Batho è nato in Normandia nel 1939. Dal 1961 si è dedicato alla fotografia ed ha esposto le sue opere in alcuni dei più importanti musei e gallerie del mondo. Ikona Photo Gallery ha presentato John Batho con una prima mostra a Venezia nel 1983 (“La couleur et son lieu: Deauville, Venise, Burano”) e con una mostra antologica (“John Batho. Il colore e il suo luogo”) nel 1987 al Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari a Firenze. Presso i Magazzini del Sale, nel 1997, è stata proposta una personale intitolata “Venezia Vedute” e, nel 2006, la mostra: “Plages de couleurs”. Ikona Venezia nel 2007 ha presentato nuovamente “Venezia Vedute” nella sua sede in Campo del Ghetto Nuovo, e ancora ha dedicato spazio a quest’opera di Batho nell’ultima mostra 'Venezia Immagine - fotografie di John Batho e Franco Fontana.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Ikona Gallery
Campo di Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909 - Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-35979.htm











14 MARZO 2016


L’epoca di Goethe in Silhouette
dal 13/03/2016 al 13/04/2016

Il 3 marzo di quest’anno, l’ACIT di Venezia partecipava alla “Maratona letteraria” dedicata a Wolfgang von Goethe in occasione dei 200 anni dalla pubblicazione del “Viaggio in Italia”: 1816-2016. Vale a dire, lo stesso giorno e alla stessa ora all’interno di centinaia di Associazioni Culturali Italo-Tedesche,in Italia e in Germania, si sono lette pagine dal volume ancora tanto apprezzato per la sua modernità, che, per Venezia, potremmo addirittura parlare di “attualità”. Nel 1986 il Museo di Düsseldorf propose la “Italienische Reise” di Wolfgang von Goethe quale tema di una mostra a Venezia. Fra i lavori esposti alla Fondazione Cini non si allineavano soltanto le opere di Goethe ed i volumi di saggistica e di critica letteraria, ma anche testimonianze del quotidiano, uno spaccato della moda dell’epoca, il carteggio di Goethe ed i suoi rapporti con i contemporanei. Per uno studio approfondito sull’autore, l’ACIT di Venezia ha ideato ora un progetto che illustri l’epoca di Goethe attraverso l’Arte delle Silhouette nel XVIII secolo. Le immagini esposte, che riproducono figure vissute al tempo di Goethe ed intorno a lui alla Corte di Weimar, sono attinte da una collezione privata, che illustra “L’epoca di Goethe in Silhouette” con 70 figure collezionate ed edite da Hans Timotheus Kroeber agli inizi del ‘900. Partendo dalla Francia, nella seconda metà del secolo XVIII, quest’arte attraversò l’Europa, non incontrando in Germania sulle prime il favore della nobiltà, che guardava con critico distacco a un’arte poco dispendiosa di tutti e per tutti. Ma ben presto questo gioco entrò nei salotti, divenne una moda. Anche Goethe cercò di cimentarsi con le forbici lasciandoci figure di notevole qualità. La storia delle Silhouette in Europa nel XVIII secolo, il distacco di Goethe da questo gioco artefatto, il suo amore per l’Italia, tutto questo racconta la mostra di Palazzo Albrizzi che con il titolo di “Die Goethezeit in Silhouetten” si inaugura domenica 13 marzo alle ore 17.30.
dettagli
Biglietto: entrata libera
Giorni di chiusura: domenica e festivi
dove
Palazzo Albrizzi
Cannaregio 4118 - 30122 Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36373.htm







mostre
La vita è nelle mie mani
dal 12/03/2016 al 26/03/2016

Un percorso di conoscenza reciproca di donne italiane e straniere sull’esperienza dell’immigrazione, vista dal doppio punto di vista di chi arriva e di chi accoglie. Sarà inaugurata sabato 12 marzo, alla Torre civica di Mestre, la mostra “La vita è nelle mie mani”, promossa dalla Municipalità di Mestre Carpenedo, nell'ambito delle iniziative di “Marzo Donna”.
L'esposizione propone 63 immagini fotografiche, realizzate dal 2012 al 2014 dalla fotografa Maria Pia Miani dell'associazione “CID-Centro Idea Donna”, per il progetto di ricerca sostenuto dal Centro Donna del Comune di Venezia, in collaborazione con Marie Louise Niwemukobwa dell’associazione Donne immigrate“Solidaire”.
Le protagoniste delle immagini fotografiche sono sette donne straniere, di diversa provenienza geografica e culturale, immigrate a Venezia negli ultimi anni, dal Messico, Moldavia, Brasile, Polonia, Palestina e Ruanda. I soggetti privilegiati delle fotografie sono le azioni quotidiane delle protagoniste; sono sintesi visive di gesti, atteggiamenti ed espressioni, di oggetti quotidiani e simbolici, di produzioni manuali ed intellettuali.
La mostra – si legge in una nota degli organizzatori - suggerisce una riflessione sulla conoscenza reciproca e l’interazione tra diverse culture, per valorizzarne la ricchezza di contenuti e di proposte, potenziando le identità e l’apertura al mondo. Si rivolge alla cittadinanza ed alle istituzioni, come contributo per sollecitare conoscenze sulle migliori modalità di convivenza, su atteggiamenti e scelte adeguate per una serena e integrazione e valorizzazione.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Torre di Mestre
Pizza Erminio Ferretto - 30174 Mestre (VE)
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36379.htm







Entrare nell'opera
DAL 19/02/2016 AL 02/04/2016
 
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis / Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /
A cura di Daniele Capra
La Galleria Massimodeluca presenta la prima mostra del 2016 negli spazi di via Torino: Entrare nell’opera, collettiva con opere di Paola Angelini, Stefano Cozzi, Marie Denis, Dominique Figarella, Graziano Folata e Stefano Moras (dal 19 febbraio al 2 aprile 2016, inaugurazione giovedì 18 febbraio ore 18.30). Il progetto espositivo, a cura di Daniele Capra da un’idea di Marina Bastianello, direttore artistico della Massimodeluca, nasce “dalla volontà di mettere a confronto artisti la cui ricerca punta all’avvicinamento emotivo e concettuale all’osservatore, nella consapevolezza di come la pratica artistica sia una continua e inesausta inquisizione dello sguardo altrui” spiega Capra. La mostra - costituita da una dozzina di opere che spaziano dalla pittura al video, dalla fotografia alla scultura e all’installazione - trae ispirazione dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera, lavoro che indaga con particolare intensità il rapporto visivo con lo spettatore e le dinamiche di coinvolgimento psichico nei confronti dell’opera.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Galleria Massimodeluca
Via Torino 105/q 30170 Venezia Mestre
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36185.htm







DALLA CAMERA OSCURA -Il Ghetto di Vilnius
dal 26/01/2016 al 03/04/2016               

Il Ghetto di Vilnius Quando nel 1941 Vilnius (Lituania) fu conquistata dai tedeschi, nella città vecchia vennero costruiti due ghetti per contenere la numerosa comunità ebraica residente. Gli abitanti del ghetto più piccolo furono uccisi o deportati già nell'inverno del 1941; il secondo ghetto - più grande - sopravvisse fino al 1943. Il primo settembre di quell'anno i residenti cercarono di ribellarsi all'oppressione nazista; il fallimento di questa ribellione portò alla distruzione dello stesso ghetto. La popolazione ebraica lituana prima della seconda guerra mondiale ammontava a circa 220.000 persone. Durante l'invasione tedesca del giugno 1941, 206.800 ebrei furono uccisi dai nazisti e dai loro collaboratori lituani.
Da questa gravità indicibile, ecco il lavoro in bianco e nero di John Batho (pioniere della fotografia a colori) da lui realizzato a Vilnius nel 1998 sul luogo del Ghetto. Le fotografie sono negativi stampati dove il Ghetto è deserto, in stato di reliquia. Si intravede una carrozzina, le cassette della posta, le tracce della vita come era. Il silenzio, la luce, la luce bianca ci fanno sentire il soffio della gente assente e la luce infinita brilla ancora sul luogo. Solo la fotografia, tornando alla matrice del negativo, ha potuto materializzare questa luce che John Batho ha visto nel Ghetto di Vilnius.
Con e nella stessa idea di luce, John Batho fotografa in PRÉSENTS & ABSENTS (1998) il passaggio delle persone di fronte ad una cabina della camera oscura. (Le persone sono posizionate di fronte ad una cabina della camera oscura, attrezzata di un vetro grande, coperto dal vapore. I modelli sono passanti, anonimi visitatori del Centro d’Arte Contemporanea della città. Questo dispositivo produce una silhouette, una sagoma, una forma fugace come appena abbozzata. […]La precisione della presa di vista, rende tangibile la presenza e la materia sullo schermo di vetro, e tutti i dettagli del velo di vapore.) Come dice John Batho stesso: dietro un vetro annebbiato, le persone posano su un fondo bianco. Le loro sagome si sospendono nel passaggio fra opaco e trasparente. Loro compaiono come convocate dopo un tempo lontano. Le silhouettes, per la loro presenza tenuta, a meta cancellata, incarnano una identità alle volte individuale e universale.
Con questo lavoro magistrale John Batho evoca dall’assenza, la presenza di un segno sempre indelebile nonostante i passaggi della vita.
Nel Campo del Ghetto Nuovo è presente dal 25 aprile 1980 “Il Monumento dell’Olocausto”, opera dell’artista lituano Arbit Blatas. Sempre dello stesso artista - nel Ghetto veneziano - è presente dal 19 settembre 1993 l’opera “L’ultimo treno”. a cura di Živa Kraus
John Batho è nato in Normandia nel 1939. Dal 1961 si è dedicato alla fotografia ed ha esposto le sue opere in alcuni dei più importanti musei e gallerie del mondo. Ikona Photo Gallery ha presentato John Batho con una prima mostra a Venezia nel 1983 (“La couleur et son lieu: Deauville, Venise, Burano”) e con una mostra antologica (“John Batho. Il colore e il suo luogo”) nel 1987 al Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari a Firenze. Presso i Magazzini del Sale, nel 1997, è stata proposta una personale intitolata “Venezia Vedute” e, nel 2006, la mostra: “Plages de couleurs”. Ikona Venezia nel 2007 ha presentato nuovamente “Venezia Vedute” nella sua sede in Campo del Ghetto Nuovo, e ancora ha dedicato spazio a quest’opera di Batho nell’ultima mostra 'Venezia Immagine - fotografie di John Batho e Franco Fontana.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Ikona Gallery
Campo di Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909 - Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-35979.htm












15 MARZO 2016


L’epoca di Goethe in Silhouette
dal 13/03/2016 al 13/04/2016

Il 3 marzo di quest’anno, l’ACIT di Venezia partecipava alla “Maratona letteraria” dedicata a Wolfgang von Goethe in occasione dei 200 anni dalla pubblicazione del “Viaggio in Italia”: 1816-2016. Vale a dire, lo stesso giorno e alla stessa ora all’interno di centinaia di Associazioni Culturali Italo-Tedesche,in Italia e in Germania, si sono lette pagine dal volume ancora tanto apprezzato per la sua modernità, che, per Venezia, potremmo addirittura parlare di “attualità”. Nel 1986 il Museo di Düsseldorf propose la “Italienische Reise” di Wolfgang von Goethe quale tema di una mostra a Venezia. Fra i lavori esposti alla Fondazione Cini non si allineavano soltanto le opere di Goethe ed i volumi di saggistica e di critica letteraria, ma anche testimonianze del quotidiano, uno spaccato della moda dell’epoca, il carteggio di Goethe ed i suoi rapporti con i contemporanei. Per uno studio approfondito sull’autore, l’ACIT di Venezia ha ideato ora un progetto che illustri l’epoca di Goethe attraverso l’Arte delle Silhouette nel XVIII secolo. Le immagini esposte, che riproducono figure vissute al tempo di Goethe ed intorno a lui alla Corte di Weimar, sono attinte da una collezione privata, che illustra “L’epoca di Goethe in Silhouette” con 70 figure collezionate ed edite da Hans Timotheus Kroeber agli inizi del ‘900. Partendo dalla Francia, nella seconda metà del secolo XVIII, quest’arte attraversò l’Europa, non incontrando in Germania sulle prime il favore della nobiltà, che guardava con critico distacco a un’arte poco dispendiosa di tutti e per tutti. Ma ben presto questo gioco entrò nei salotti, divenne una moda. Anche Goethe cercò di cimentarsi con le forbici lasciandoci figure di notevole qualità. La storia delle Silhouette in Europa nel XVIII secolo, il distacco di Goethe da questo gioco artefatto, il suo amore per l’Italia, tutto questo racconta la mostra di Palazzo Albrizzi che con il titolo di “Die Goethezeit in Silhouetten” si inaugura domenica 13 marzo alle ore 17.30.
dettagli
Biglietto: entrata libera
Giorni di chiusura: domenica e festivi
dove
Palazzo Albrizzi
Cannaregio 4118 - 30122 Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36373.htm







mostre
La vita è nelle mie mani
dal 12/03/2016 al 26/03/2016

Un percorso di conoscenza reciproca di donne italiane e straniere sull’esperienza dell’immigrazione, vista dal doppio punto di vista di chi arriva e di chi accoglie. Sarà inaugurata sabato 12 marzo, alla Torre civica di Mestre, la mostra “La vita è nelle mie mani”, promossa dalla Municipalità di Mestre Carpenedo, nell'ambito delle iniziative di “Marzo Donna”.
L'esposizione propone 63 immagini fotografiche, realizzate dal 2012 al 2014 dalla fotografa Maria Pia Miani dell'associazione “CID-Centro Idea Donna”, per il progetto di ricerca sostenuto dal Centro Donna del Comune di Venezia, in collaborazione con Marie Louise Niwemukobwa dell’associazione Donne immigrate“Solidaire”.
Le protagoniste delle immagini fotografiche sono sette donne straniere, di diversa provenienza geografica e culturale, immigrate a Venezia negli ultimi anni, dal Messico, Moldavia, Brasile, Polonia, Palestina e Ruanda. I soggetti privilegiati delle fotografie sono le azioni quotidiane delle protagoniste; sono sintesi visive di gesti, atteggiamenti ed espressioni, di oggetti quotidiani e simbolici, di produzioni manuali ed intellettuali.
La mostra – si legge in una nota degli organizzatori - suggerisce una riflessione sulla conoscenza reciproca e l’interazione tra diverse culture, per valorizzarne la ricchezza di contenuti e di proposte, potenziando le identità e l’apertura al mondo. Si rivolge alla cittadinanza ed alle istituzioni, come contributo per sollecitare conoscenze sulle migliori modalità di convivenza, su atteggiamenti e scelte adeguate per una serena e integrazione e valorizzazione.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Torre di Mestre
Pizza Erminio Ferretto - 30174 Mestre (VE)
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36379.htm







Entrare nell'opera
DAL 19/02/2016 AL 02/04/2016
 
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis / Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras /
A cura di Daniele Capra
La Galleria Massimodeluca presenta la prima mostra del 2016 negli spazi di via Torino: Entrare nell’opera, collettiva con opere di Paola Angelini, Stefano Cozzi, Marie Denis, Dominique Figarella, Graziano Folata e Stefano Moras (dal 19 febbraio al 2 aprile 2016, inaugurazione giovedì 18 febbraio ore 18.30). Il progetto espositivo, a cura di Daniele Capra da un’idea di Marina Bastianello, direttore artistico della Massimodeluca, nasce “dalla volontà di mettere a confronto artisti la cui ricerca punta all’avvicinamento emotivo e concettuale all’osservatore, nella consapevolezza di come la pratica artistica sia una continua e inesausta inquisizione dello sguardo altrui” spiega Capra. La mostra - costituita da una dozzina di opere che spaziano dalla pittura al video, dalla fotografia alla scultura e all’installazione - trae ispirazione dall’azione di Giovanni Anselmo Entrare nell’opera, lavoro che indaga con particolare intensità il rapporto visivo con lo spettatore e le dinamiche di coinvolgimento psichico nei confronti dell’opera.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Galleria Massimodeluca
Via Torino 105/q 30170 Venezia Mestre
Terraferma
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36185.htm







DALLA CAMERA OSCURA -Il Ghetto di Vilnius
dal 26/01/2016 al 03/04/2016               

Il Ghetto di Vilnius Quando nel 1941 Vilnius (Lituania) fu conquistata dai tedeschi, nella città vecchia vennero costruiti due ghetti per contenere la numerosa comunità ebraica residente. Gli abitanti del ghetto più piccolo furono uccisi o deportati già nell'inverno del 1941; il secondo ghetto - più grande - sopravvisse fino al 1943. Il primo settembre di quell'anno i residenti cercarono di ribellarsi all'oppressione nazista; il fallimento di questa ribellione portò alla distruzione dello stesso ghetto. La popolazione ebraica lituana prima della seconda guerra mondiale ammontava a circa 220.000 persone. Durante l'invasione tedesca del giugno 1941, 206.800 ebrei furono uccisi dai nazisti e dai loro collaboratori lituani.
Da questa gravità indicibile, ecco il lavoro in bianco e nero di John Batho (pioniere della fotografia a colori) da lui realizzato a Vilnius nel 1998 sul luogo del Ghetto. Le fotografie sono negativi stampati dove il Ghetto è deserto, in stato di reliquia. Si intravede una carrozzina, le cassette della posta, le tracce della vita come era. Il silenzio, la luce, la luce bianca ci fanno sentire il soffio della gente assente e la luce infinita brilla ancora sul luogo. Solo la fotografia, tornando alla matrice del negativo, ha potuto materializzare questa luce che John Batho ha visto nel Ghetto di Vilnius.
Con e nella stessa idea di luce, John Batho fotografa in PRÉSENTS & ABSENTS (1998) il passaggio delle persone di fronte ad una cabina della camera oscura. (Le persone sono posizionate di fronte ad una cabina della camera oscura, attrezzata di un vetro grande, coperto dal vapore. I modelli sono passanti, anonimi visitatori del Centro d’Arte Contemporanea della città. Questo dispositivo produce una silhouette, una sagoma, una forma fugace come appena abbozzata. […]La precisione della presa di vista, rende tangibile la presenza e la materia sullo schermo di vetro, e tutti i dettagli del velo di vapore.) Come dice John Batho stesso: dietro un vetro annebbiato, le persone posano su un fondo bianco. Le loro sagome si sospendono nel passaggio fra opaco e trasparente. Loro compaiono come convocate dopo un tempo lontano. Le silhouettes, per la loro presenza tenuta, a meta cancellata, incarnano una identità alle volte individuale e universale.
Con questo lavoro magistrale John Batho evoca dall’assenza, la presenza di un segno sempre indelebile nonostante i passaggi della vita.
Nel Campo del Ghetto Nuovo è presente dal 25 aprile 1980 “Il Monumento dell’Olocausto”, opera dell’artista lituano Arbit Blatas. Sempre dello stesso artista - nel Ghetto veneziano - è presente dal 19 settembre 1993 l’opera “L’ultimo treno”. a cura di Živa Kraus
John Batho è nato in Normandia nel 1939. Dal 1961 si è dedicato alla fotografia ed ha esposto le sue opere in alcuni dei più importanti musei e gallerie del mondo. Ikona Photo Gallery ha presentato John Batho con una prima mostra a Venezia nel 1983 (“La couleur et son lieu: Deauville, Venise, Burano”) e con una mostra antologica (“John Batho. Il colore e il suo luogo”) nel 1987 al Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari a Firenze. Presso i Magazzini del Sale, nel 1997, è stata proposta una personale intitolata “Venezia Vedute” e, nel 2006, la mostra: “Plages de couleurs”. Ikona Venezia nel 2007 ha presentato nuovamente “Venezia Vedute” nella sua sede in Campo del Ghetto Nuovo, e ancora ha dedicato spazio a quest’opera di Batho nell’ultima mostra 'Venezia Immagine - fotografie di John Batho e Franco Fontana.
dettagli
Biglietto: entrata libera
dove
Ikona Gallery
Campo di Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909 - Venezia
Centro Storico
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-35979.htm






I Modi di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza
dall' 11/03/2016 al 15/05/2016
A cura di Francesco Dal Co
Il rapporto del corpo con l’architettura e il complesso fenomeno della corporeità hanno sempre occupato una posizione privilegiata nella storia della cultura europea. Il rimando immediato è alla tradizione classica e a Vitruvio, architetto di Roma antica, inventore dell’accostamento che incontra larga fortuna nella Storia dell’Arte. Nel De Architectura egli paragona il corpo umano a una costruzione e trae da questa analogia una serie di affermazioni che nel tempo hanno facilitato la comprensione di termini come proporzione, simmetria e armonia. All’interno del pensiero vitruviano molti grandi architetti, soprattutto quelli maggiormente dotati nell’arte del disegno, hanno sperimentato il momento in cui il piacere di rappresentare l’anatomia umana assume una valenza erotica. Il disegno, il primo manifestarsi del processo che attribuisce una forma alla materia, può implicare l’instaurarsi di un rapporto sensuale tra la mano dell’architetto, il supporto grafico e gli strumenti impiegati. La mostra, mira ad indagare questo aspetto della pratica dell’architettura, il legame tra rappresentazione del corpo ed erotismo. Tale analisi è condotta a partire dall’esposizione di una vasta serie di disegni mai usciti dai quaderni di appunti privati e dagli studi di due dei massimi architetti del Novecento, Carlo Scarpa (1906-1978) e Álvaro Siza (n. 1933). I disegni inediti di questi due maestri dell’architettura contemporanea esposti in mostra saranno circa 100. A dimostrazione che quanto si deduce dai disegni e schizzi di Scarpa e Siza non è il frutto di una pratica o di atteggiamenti contingenti in mostra trovano posto le riproduzioni de “I Modi” di Giulio Romano (1499-1546). Giulio Romano fu il principale collaboratore di Raffaello e l’autore di opere decisive del Rinascimento italiano, tra le quali Palazzo Te a Mantova (1525-1534 ca.), dove realizzò anche uno straordinario ciclo di affreschi (in alcuni casi di soggetto erotico) e decorazioni. Nel 1524 Marcantonio Raimondi (1480 ca.-1534), il più importante incisore italiano del Rinascimento, ricavò da sedici disegni lascivi di Giulio Romano la serie delle incisioni note come I Modi (De omnibus Veneris Schematibus). I Modi, che raffigurano sedici posizioni erotiche, sono stati variamente ripresi (Carracci e Procaccini, tra gli altri) e poi pubblicati come illustrazioni di altrettanti sonetti licenziosi composti da un altro dei massimi esponenti del Rinascimento, Pietro Aretino (1492-1556).
Nella mostra organizzata in Fondazione Querini Stampalia è curioso osservare il volume che riproduce i sonetti dell’Aretino accanto alle incisioni di Raimondi, con sovrapposti i disegni che imitano quelli di Giulio Romano tracciati da Siza. L’equilibrio compatto, impassibile del modulo vitruviano in Siza si fa abbraccio libero nello spazio, movimento liquido, danza sinuosa di passione. In Scarpa le figure, nudi femminili soprattutto, occupano con tutta la loro terragna corporeità le carte dei progetti e dicono la seduzione irresistibile del dettaglio meticoloso e incontentabile, della sua bellezza ostinata. Modi della creatività, come forme dell’Eros: divagazione dell’ingegno, corteggiamento amoroso, atto generativo.
Così Francesco Dal Co: “La nostalgia occupa il centro dell’opera di Carlo Scarpa, la modella. Il suono di fondo che in essa si ripete è quello della tradizione. Nostalgia per un rapporto intimo con il mondo, che egli avverte definitivamente compromesso, invece, è quella che si coglie nelle opere di Álvaro Siza – due ‘modi’, questi, nei disegni quasi inconciliabili, non vi fossero i movimenti delle mani a stabilire la loro costitutiva affinità. Questa affinità è resa evidente dal fine che i disegni dei due architetti condividono: dimostrare e provare che nulla può sostituire l’ampliarsi del potere che il delineare garantisce all’osservare’.”
dettagli
Biglietto: entrata libera
Giorni di chiusura: lunedì
dove
Fondazione Querini Stampalia
Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 - 30122 Venezia
Centro Storico
organizzatori
Fonte: http://agendavenezia.org/it/evento-36292.htm