venerdì 20 febbraio 2015

DAL 21 AL 25 FEBBRAIO 2015 - VENEZIA GRATIS - VENICE FOR FREE

21 FEBBRAIO 2015


Satoshi Okada - works 1991-2015
                        

Mostra a cura di Giovanna Zuliani, coordinamento scientifico Esther Giani.
Evento all’interno dei workshop invernali “A week with…” del Dipartimento di Architettura Costruzione Conservazione: workshop 'Smallness. 93 New exhibition space for the Biennale of Venice' 16 - 20 febbraio, Cotonificio, aula G.
dettagli
Biglietto: ingresso libero
organizzatori
 
 
 
 
Collettiva 2015
                            

Partecipano al progetto gli artisti ospitati nella stagione espositiva precedente (Akira Arita, Stefano Arienti, Aldo Grazzi, Alessandro Diaz de Santillana, Sofia Stevi) e altri con i quali è prevista una collaborazione nelle prossime mostre (Laura Bisotti, Lorenzo Missoni, Maurizio Pellegrin). Il percorso, che si svolge attraverso opere mai presentate in galleria (in alcuni casi inedite), consente di approfondire le proposte di Marignana Arte contrapponendo opere orientate verso una forte presenza grafica (il lavoro su carta di Arienti, l’erbario di Missoni, le gouaches di Arita) a lavori caratterizzati da una presenza plastica e quasi scultorea (Stevi, Diaz de Santillana). Un terzo gruppo di opere in bilico tra le discipline (i rilievi dell’Enciclopedia di Missoni, l’ovale di Grazzi, le opere della giovane artista Laura Bisotti) consente di tracciare un percorso fatto di scelte rigorose proponendo al pubblico nomi già affermati accanto ad artisti emergenti.
dettagli
Biglietto: ingresso libero
organizzatori
 
 
 
 
22 FEBBRAIO 2015
 
Verde cortina. Da Lubecca a Trieste sui confini della guerra fredda.
        

Mostra fotografica, in tutto venticinque foto, misura 50 x 70.
Lubecca è agli opposti di Trieste. Il bordo esterno di un continente, l’affaccio al mare del nord come Trieste è il primo approdo a quello del sud. Entrambe hanno un’aria un po’ congelata e sospesa, quasi che, a dispetto di una lunga storia, di architetture eleganti e delle dinastie dei commercianti, lo sviluppo fosse rimasto a un certo punto bloccato, preservandole dal contagio ma anche dal dinamismo del Novecento. Ma in questo non c’è contraddizione: la linea che da Lubecca a Trieste ha tagliato il continente, dividendo est e ovest, ha reso le due città allo stesso tempo avamposto e periferia di un impero. Un punto d’osservazione privilegiato sulla storia, tuttavia decisa altrove.
Cosa rimane della cortina di ferro venticinque anni dopo? Matteo Tacconi e Ignacio Maria Coccia si sono messi in macchina. Una rotta che taglia la Germania, sbuca sulla frontiera della Repubblica ceca, prosegue lungo Slovacchia, Ungheria, Austria, Slovenia e finisce nell’Adriatico. Dovrebbe essere un tragitto memorabile, quanto di più vicino all’epos storico o topografico l’Europa del dopoguerra abbia prodotto, eppure questo coast-to-coast non ha un percorso prestabilito e catalogato, non ha tappe obbligate, avrà forse una decina di monumenti-segnaposto. Di più, non ha mitologia, non ha nostalgia, non ha viaggiatori e quasi non ha racconti. Bisogno reinventarsi una traccia cancellata.
Così queste pagine e queste foto sono la mappatura di una grande rimozione. E rispondono alla domanda: che succede quando si riavvolge come fosse un nastro, mettendolo da parte, il simbolo più potente e carico di significato del secondo Novecento in Europa? La bellezza della risposta di Matteo e Ignacio sta nell’assoluta mancanza di enfasi. Anzi, il loro è un viaggio documentale. Che descrive, fotografa, immagazzina. Che non teorizza ma recupera, che non insegna o offre soluzioni, ma prende nota. [...]
(L’introduzione al volume, firmata da Mara Gergolet, giornalista del Corriere della Sera)
MATTEO TACCONI. Perugino, nato nel 1978, giornalista. Segue i Balcani, l’Europa centrale e l’area post-sovietica. Scrive su diverse testate, tra cui Europa, Limes, Il Venerdì di Repubblica e Il Manifesto. Coordina Rassegna Est, portale dedicato all’Europa emergente. Ha realizzato tre libri. I primi due, Kosovo: la storia, la guerra, il futuro e C’era una volta il Muro: viaggio nell’Europa ex comunista, sono stati editi da Castelvecchi. Il terzo, Me ne vado a Est, realizzato con Matteo Ferrazzi, è stato pubblicato da Infinito Edizioni.
IGNACIO MARIA COCCIA. Fotografo. Nato a Madrid nel 1974, vive ad Ascoli Piceno. Nel 2003 è entrato nello staff di Grazia Neri. Ha pubblicato su diverse testate, italiane e internazionali, tra le quali Financial Times, Le Monde, Sportweek, National Geographic, L’Espresso, IL e Io Donna. Ha dedicato molta attenzione all’Europa dell’Est, al tema delle frontiere e delle periferie continentali. Dai suoi viaggi nella regione ha realizzato due libri: Ucraina, ritratto di una nazione e Kosovo, incertezze e sogni.
dettagli
Biglietto: ingresso libero
 
 
23 FEBBRAIO 2015
 
 
Verde cortina. Da Lubecca a Trieste sui confini della guerra fredda.


Mostra fotografica, in tutto venticinque foto, misura 50 x 70.
Lubecca è agli opposti di Trieste. Il bordo esterno di un continente, l’affaccio al mare del nord come Trieste è il primo approdo a quello del sud. Entrambe hanno un’aria un po’ congelata e sospesa, quasi che, a dispetto di una lunga storia, di architetture eleganti e delle dinastie dei commercianti, lo sviluppo fosse rimasto a un certo punto bloccato, preservandole dal contagio ma anche dal dinamismo del Novecento. Ma in questo non c’è contraddizione: la linea che da Lubecca a Trieste ha tagliato il continente, dividendo est e ovest, ha reso le due città allo stesso tempo avamposto e periferia di un impero. Un punto d’osservazione privilegiato sulla storia, tuttavia decisa altrove.
Cosa rimane della cortina di ferro venticinque anni dopo? Matteo Tacconi e Ignacio Maria Coccia si sono messi in macchina. Una rotta che taglia la Germania, sbuca sulla frontiera della Repubblica ceca, prosegue lungo Slovacchia, Ungheria, Austria, Slovenia e finisce nell’Adriatico. Dovrebbe essere un tragitto memorabile, quanto di più vicino all’epos storico o topografico l’Europa del dopoguerra abbia prodotto, eppure questo coast-to-coast non ha un percorso prestabilito e catalogato, non ha tappe obbligate, avrà forse una decina di monumenti-segnaposto. Di più, non ha mitologia, non ha nostalgia, non ha viaggiatori e quasi non ha racconti. Bisogno reinventarsi una traccia cancellata.
Così queste pagine e queste foto sono la mappatura di una grande rimozione. E rispondono alla domanda: che succede quando si riavvolge come fosse un nastro, mettendolo da parte, il simbolo più potente e carico di significato del secondo Novecento in Europa? La bellezza della risposta di Matteo e Ignacio sta nell’assoluta mancanza di enfasi. Anzi, il loro è un viaggio documentale. Che descrive, fotografa, immagazzina. Che non teorizza ma recupera, che non insegna o offre soluzioni, ma prende nota. [...]
(L’introduzione al volume, firmata da Mara Gergolet, giornalista del Corriere della Sera)
MATTEO TACCONI. Perugino, nato nel 1978, giornalista. Segue i Balcani, l’Europa centrale e l’area post-sovietica. Scrive su diverse testate, tra cui Europa, Limes, Il Venerdì di Repubblica e Il Manifesto. Coordina Rassegna Est, portale dedicato all’Europa emergente. Ha realizzato tre libri. I primi due, Kosovo: la storia, la guerra, il futuro e C’era una volta il Muro: viaggio nell’Europa ex comunista, sono stati editi da Castelvecchi. Il terzo, Me ne vado a Est, realizzato con Matteo Ferrazzi, è stato pubblicato da Infinito Edizioni.
IGNACIO MARIA COCCIA. Fotografo. Nato a Madrid nel 1974, vive ad Ascoli Piceno. Nel 2003 è entrato nello staff di Grazia Neri. Ha pubblicato su diverse testate, italiane e internazionali, tra le quali Financial Times, Le Monde, Sportweek, National Geographic, L’Espresso, IL e Io Donna. Ha dedicato molta attenzione all’Europa dell’Est, al tema delle frontiere e delle periferie continentali. Dai suoi viaggi nella regione ha realizzato due libri: Ucraina, ritratto di una nazione e Kosovo, incertezze e sogni.
dettagli
Biglietto: ingresso libero
 
 
24 FEBBRAIO 2015
 
A occhi spalancati
      

“A occhi spalancati” è l’anticipazione, meglio l’anteprima di un nuovo grande museo di Mosca, quello dell'Impressionismo Russo che aprirà i battenti nella capitale russa nel prossimo autunno. Per annunciare e far conoscere quello che è destinato ad essere uno dei “musei imperdibili” per ogni turista che si recherà a Mosca, la direzione della futura istituzione ha deciso di anticipare l’apertura al pubblico con due importanti preview: la prima si è svolta in Russia, nel Museo di Ivanovo, all'inizio dell'autunno scorso e ora è la volta di Venezia, unica tappa estera. Qui, dal 13 febbraio al 12 aprile, in Palazzo Franchetti, il pubblico italiano e internazionale potrà ammirare 50 capolavori del futuro museo moscovita, il meglio del meglio della sua imponente collezione d’arte. Un “biglietto da visita” estremamente raffinato, per annunciare una collezione di sicuro interesse internazionale.
La rassegna veneziana è curata da Yulia Petrova, direttore del Museo dell'Impressionismo Russo, e da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, responsabili del Centro Studi sulle Arti della Russia (CSAR) dell'Università Ca' Foscari e di una serie di prestigiose e apprezzate attività espositive che dal 2010 hanno diffuso in Italia alcuni essenziali aspetti dell'arte russa degli ultimi due secoli. È un’indicazione interessante dell'originale politica culturale e della speciale mission dell'istituzione moscovita: favorire, attraverso esposizioni temporanee, in Russia e all’estero, la conoscenza di una rilevante tendenza dell’arte russa, in particolare quella che caratterizza l'epoca tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, una fase ancora poco conosciuta, a parte alcuni grandi nomi, della vicenda artistica e del ruolo internazionale della moderna arte russa.
Le 50 opere sono esposte in un percorso che accosta tra loro soggetti tematicamente contigui (il paesaggio, la scena urbana, la figura in un interno), con una dovuta ma non sempre vincolante attenzione alla cronologia. Il momento di maggior fioritura dell’Impressionismo in Russia è di qualche lustro successivo alla svolta dell'arte francese intervenuta tra settimo e ottavo decennio dell'Ottocento, e comprende soprattutto l'ultimo decennio del secolo e l’inizio di quello successivo. Ma questo non significa che possa essere considerato la variante provinciale di quello francese e nemmeno la sporadica scelta di maniera di qualche pittore. L’Impressionismo era già divenuto infatti il tempestivo punto di riferimento per l’opera di paesaggisti come Fedor Vasil’ev, aveva influenzato la ricerca di Polenov e di Repin, dopo un loro soggiorno in Francia e, grazie a questi maestri, era presto diventato oggetto di studio per gli studenti della Scuola di Pittura, Architettura e Scultura di Mosca, alcuni dei quali destinati - come Konstantin Juon, Petr Petrovicev e Stanislav Zukovskij, tutti presenti in mostra – a un ruolo di primaria importanza prima, durante e dopo l'avvento delle Avanguardie. La tradizione di dipingere alla maniera impressionista continua poi per buona parte del Novecento, ed è documentata in mostra con opere di Koncalovskij, Grabar', Kustodiev, Baranov-Rossiné, con altri pittori insospettabili, come Sergej Gerasimov o Georgij Savickij, e persino con artisti molto legati al realismo socialista, come Aleksandr Gerasimov e Dmitrij Nalbandjan. D'altra parte l'immagine guida della mostra – i Manifesti sotto la pioggia di Pimenov (1973) - dimostra con ogni evidenza come la matrice impressionistica caratterizzi con un certo rilievo anche il periodo del disgelo post staliniano. La mostra veneziana allinea insomma le prime esplicite rimeditazioni e rielaborazioni della rivoluzione artistica francese, evidenzia la tenace persistenza, per buona parte del Novecento, di questo approccio alla raffigurazione della vita individuale e dei suoi scenari e sottolinea la perdurante attualità di questa matrice. Per questo l'arco cronologico delle opere in mostra spazia da alcuni rari dipinti giovanili di Konstantin Korovin, il più famoso esponente dell’Impressionismo russo, e di Valentin Serov sino ad anni recentissimi, con pittori come Vladimir Rogozin e Valerij Kosljakov, che non si possono certo considerare “impressionisti” in senso stretto ma per i quali sono risultate fondamentali le ricerche dei loro predecessori alla fine del XIX secolo e che raccolgono oggi, idealmente ed efficacemente, in una chiave contemporanea, la loro eredità.
dettagli
Biglietto: ingresso libero
         
 
 
 
 
 
 
25 FEBBRAIO 2015
 
 
Concerto


Interviene Ensemble di Clarinetti Jo Clarino
dettagli
Biglietto: ingresso libero
 
 
 
 
 
 
 
A occhi spalancati
      

“A occhi spalancati” è l’anticipazione, meglio l’anteprima di un nuovo grande museo di Mosca, quello dell'Impressionismo Russo che aprirà i battenti nella capitale russa nel prossimo autunno. Per annunciare e far conoscere quello che è destinato ad essere uno dei “musei imperdibili” per ogni turista che si recherà a Mosca, la direzione della futura istituzione ha deciso di anticipare l’apertura al pubblico con due importanti preview: la prima si è svolta in Russia, nel Museo di Ivanovo, all'inizio dell'autunno scorso e ora è la volta di Venezia, unica tappa estera. Qui, dal 13 febbraio al 12 aprile, in Palazzo Franchetti, il pubblico italiano e internazionale potrà ammirare 50 capolavori del futuro museo moscovita, il meglio del meglio della sua imponente collezione d’arte. Un “biglietto da visita” estremamente raffinato, per annunciare una collezione di sicuro interesse internazionale.
La rassegna veneziana è curata da Yulia Petrova, direttore del Museo dell'Impressionismo Russo, e da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, responsabili del Centro Studi sulle Arti della Russia (CSAR) dell'Università Ca' Foscari e di una serie di prestigiose e apprezzate attività espositive che dal 2010 hanno diffuso in Italia alcuni essenziali aspetti dell'arte russa degli ultimi due secoli. È un’indicazione interessante dell'originale politica culturale e della speciale mission dell'istituzione moscovita: favorire, attraverso esposizioni temporanee, in Russia e all’estero, la conoscenza di una rilevante tendenza dell’arte russa, in particolare quella che caratterizza l'epoca tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, una fase ancora poco conosciuta, a parte alcuni grandi nomi, della vicenda artistica e del ruolo internazionale della moderna arte russa.
Le 50 opere sono esposte in un percorso che accosta tra loro soggetti tematicamente contigui (il paesaggio, la scena urbana, la figura in un interno), con una dovuta ma non sempre vincolante attenzione alla cronologia. Il momento di maggior fioritura dell’Impressionismo in Russia è di qualche lustro successivo alla svolta dell'arte francese intervenuta tra settimo e ottavo decennio dell'Ottocento, e comprende soprattutto l'ultimo decennio del secolo e l’inizio di quello successivo. Ma questo non significa che possa essere considerato la variante provinciale di quello francese e nemmeno la sporadica scelta di maniera di qualche pittore. L’Impressionismo era già divenuto infatti il tempestivo punto di riferimento per l’opera di paesaggisti come Fedor Vasil’ev, aveva influenzato la ricerca di Polenov e di Repin, dopo un loro soggiorno in Francia e, grazie a questi maestri, era presto diventato oggetto di studio per gli studenti della Scuola di Pittura, Architettura e Scultura di Mosca, alcuni dei quali destinati - come Konstantin Juon, Petr Petrovicev e Stanislav Zukovskij, tutti presenti in mostra – a un ruolo di primaria importanza prima, durante e dopo l'avvento delle Avanguardie. La tradizione di dipingere alla maniera impressionista continua poi per buona parte del Novecento, ed è documentata in mostra con opere di Koncalovskij, Grabar', Kustodiev, Baranov-Rossiné, con altri pittori insospettabili, come Sergej Gerasimov o Georgij Savickij, e persino con artisti molto legati al realismo socialista, come Aleksandr Gerasimov e Dmitrij Nalbandjan. D'altra parte l'immagine guida della mostra – i Manifesti sotto la pioggia di Pimenov (1973) - dimostra con ogni evidenza come la matrice impressionistica caratterizzi con un certo rilievo anche il periodo del disgelo post staliniano. La mostra veneziana allinea insomma le prime esplicite rimeditazioni e rielaborazioni della rivoluzione artistica francese, evidenzia la tenace persistenza, per buona parte del Novecento, di questo approccio alla raffigurazione della vita individuale e dei suoi scenari e sottolinea la perdurante attualità di questa matrice. Per questo l'arco cronologico delle opere in mostra spazia da alcuni rari dipinti giovanili di Konstantin Korovin, il più famoso esponente dell’Impressionismo russo, e di Valentin Serov sino ad anni recentissimi, con pittori come Vladimir Rogozin e Valerij Kosljakov, che non si possono certo considerare “impressionisti” in senso stretto ma per i quali sono risultate fondamentali le ricerche dei loro predecessori alla fine del XIX secolo e che raccolgono oggi, idealmente ed efficacemente, in una chiave contemporanea, la loro eredità.
dettagli
Biglietto: ingresso libero
         
 
 
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento